Ragazze prendono acqua dal pozzo al centro di recupero di Il Bissil, vicino la cittadina di Kajiado. Il Bissil, Kenya, 2015

UNCUT | Simona Ghizzoni

Inaugurazione della mostra venerdì 4 maggio | Apertura dal 5 maggio al 23 giugno 2018

Proseguono a Spazio 32 le iniziative dedicate alla fotografia di attualità, con la mostra “Uncut” di Simona Ghizzoni, inaugurata venerdì 4 maggio alla presenza della fotografa.

35 immagini in bianco e nero e a colori e un video che indagano in profondità il tema delle mutilazioni genitali femminili in tre Paesi africani – Somaliland, Kenya ed Etiopia – dove le donne si sono coalizzate per dire basta a una pratica crudele e pericolosa che, secondo i dati Unicef, colpisce 200 milioni di donne e adolescenti di età compresa fra i 15 e i 49 anni in tutto il mondo.

 

“Una stanza qualunque, o la capanna buia d’un villaggio. Basta una lametta acquistata al mercato, un coltello affilato o solo un vetro rotto. A volte ago e filo, oppure le spine di un rovo selvatico. Le donne di casa tengono ferma la bambina, mentre un’estranea viene pagata per infliggerle un dolore che non dimenticherà mai. Per 200 milioni di donne al mondo, il passaggio dall’infanzia all’età adulta è marchiato con il sangue di una mutilazione genitale: un rito ineluttabile, in certe società, che “purifica” le donne dalla loro stessa femminilità, le sottomette nella sofferenza rendendole vergini a vita, refrattarie al piacere sessuale e dunque mogli fedeli. Secondo l’Unicef, le vittime del “taglio” rituale sono concentrate in 30 Paesi del mondo, 27 dei quali si trovano nel continente africano. Il Parlamento Europeo stima la presenza nella UE di 500mila donne immigrate portatrici di una ferita che comporta gravi conseguenze sanitarie e complessi percorsi d’integrazione. Eppure, da oltre quarant’anni, ci sono donne africane che combattono per riappropriarsi del loro corpo e della loro femminilità: è alla loro lotta che è dedicato il progetto “Uncut”, che rinuncia volutamente al terrificante repertorio di immagini di violenza e sofferenza per raccontare attraverso un video e 35 immagini a colori e in bianco e nero come in tre Paesi africani – Somaliland, Kenya ed Etiopia – le donne si siano coalizzate per dire basta a questa pratica crudele. Una storia corale che restituisce testimonianze di dolore, di coraggiose battaglie per i diritti femminili e, in molti casi, di successo ed emancipazione.” – Emanuela Zuccalà

 

Simona Ghizzoni

Simona Ghizzoni è nata a Reggio Emilia nel 1977. Dopo aver ottenuto un master in Storia della Fotografia, dal 2005 si dedica a progetti a lungo termine sulla condizione della donna. In contemporanea porta avanti un lavoro di ricerca personale dal titolo Rayuela. Tra il 2006 e il 2010 lavora a un progetto a lungo termine intitolato Odd Days, incentrato sui disturbi alimentari femminili e con un’immagine tratta da questa serie si aggiudica il terzo posto al World Press Photo 2008. Nel 2010 le viene commissionato un servizio sulle profughe irachene in Giordania, dove produce il suo primo documentario breve Lie in Wait. Afterdark, la sua ultima produzione, affronta le conseguenze che la guerra ha sulla psiche femminile in Giordania, Cisgiordania, nella striscia di Gaza e nel Sahara Occidentale. Nel 2013 dirige il suo primo documentario sulle donne vittime delle sparizioni forzate nei territori Saharawi, Just to Let you know that I’m Alive. Con il suo lavoro sulla condizione delle donne vittime dell’operazione Cast Lead nella striscia di Gaza (2010-2013) ottiene il terzo posto nella sezione Contemporary Issues del World Press Photo 2012.Ghizzoni è rappresentata da MAPS / www.mapsimages.com e socia fondatrice di ZONA.

La mostra “Uncut” è tratta dall’omonimo progetto ideato dalla giornalista Emanuela Zuccalà – che comprende un webdoc disponibile sul sito www.uncutproject.org e un documentario che sarà proiettato durante l’inaugurazione a Spazio 32 –  curato dall’associazione Zona e realizzato grazie all’“Innovation in development Reporting Grant Program” dello European Journalism Centre e alla Bill & Melinda Gates Foundation, in collaborazione con ActionAid

Sharon, 15 anni, una delle ospiti del centro di recupero nella scuola di Kongelai. È fuggita da casa per evitare la mutilazione genitale femminile e il matrimonio combinato dalla sua famiglia con un uomo di 60 anni. Dopo la sua fuga, la madre di Sharon si è suicidata. Kongelai, Kenya, 2015.
La scuola primaria di Indupa, nel villaggio Masai di Indupa vicino a Kajiado. Elangata Wuas, Kenya, 2015. Kenya, 2015.
Una giovane donna nel centro di Hargeisa. Somaliland, 2015.
Nimo Oufet, 12 anni, si bagna nelle acque del fiume Wabe. Nimo è una delle ragazze della comunità salvate dalle mutilazioni genitali femminili grazie al lavoro della Rete delle donne locale. “Mi sento diversa dalle altre ragazze della comunità che sono state circoncise”, dice, “mi sento migliore”. Odadima, Etiopia, 2015.

Articoli Recenti